Dopo il secondo, temiamo ormai definitivo, scioglimento dei Black Crowes, il frontman Chris Robinson ha intrapreso una carriera solista di primo livello. La sua Brotherhood sembra uscita da qualche spiaggia della California, dove ci si ritrova a suonare, capelloni, meditando il modo migliore per evitare la chiamata in Vietnam. E invece non sono gli anni ’70 sulla West Coast, è già la seconda decade dei Duemila, e siamo in giro per il mondo.
A differenza dello scorso tour la Fratellanza non ha varcato i confini patri (marzo 2016, ottima prestazione al Fabrique di Milano con highlihgts quali “Shake rattle and roll” di Big Joe Turner, “They Love each other” di Jerry Garcia, “Down in the flood” di Dylan. Non so se mi spiego). Quindi abbiamo pensato di muoverci noi verso la ridente Amsterdam per un lungo week end di rock n’ roll. Non avevamo però fatto i conti con lo zio Burian e una delle peggiori ranzate di gelo nella recente storia europea. -7 fuori dal Paradiso (mai nome e calore interno fu più apprezzato); inoltre, oltre manica, neve e tormenta in quel di Dublino hanno bloccato la sezione ritmica della Fratellanza.
Come già ad Amburgo la sera precedente dunque, Chris Robinson, Neal Casal e il tastierista Adam Mac Dougall si sono presentati sul palco in un inedito e affascinante trio acustico. All’ingresso l’organizzazione proponeva il rimborso del biglietto. Fino a quando siamo entrati noi non aveva accettato nessuno. Il locale risulterà strapieno.
Il Paradiso è uno dei luoghi più belli in cui mi sia capitato di partecipare a un concerto. Acustica eccellente, bar ben distribuiti, due piani di loggione per sedersi, un largo parterre dove avvicinarsi al palco. Educazione nordica tra il pubblico e rispetto degli spazi.
Chris chiede venia per la sezione ritmica fermata da “the Beast of the East”, ricorda che “Mother Earth” non va fatta incazzare, quindi presenta un set unico di circa due ore encomiabile per eleganza e precisione stilistica. CSN&Y ’74 sogno con un po’ di generosità. Ma non vado troppo distante. La dolcezza e l’intensità di pezzi ormai celebri tra i fedeli seguaci dei ragazzi come “Wheel don’t roll”, “Badlands here we come”, “100 hundred days of rain” profumano di un altro tempo e di semplice grazia.
Neal Casal è un chitarrista eclettico e preciso che garantisce alla voce di Chris le sue celebri divagazioni su un tappeto di dolce psichedelia. In tale forma di fatto unplugged il piano di Mac Dougall risulta meno invasivo e più consono alle dolci catarsi inseguite dalle canzoni (in futuro più Merl Saunders e meno Melvin Seals, se mi possono permettere, vecchio Adam). Scivoliamo così in una narrazione equilibrata e coinvolgente che ha il dono della pazienza e della riflessione.
Gli encores citano Aretha Franklin (“Do right woman”) e poi ci stendono di fiori con “Drivin’ wheel”. Vi ho amato tanto anche stasera ragazzi. Il vento gelido di Amsterdam non raffredda il vostro calore.
Freak n’ roll, again, brothers!