<La recensione emotiva del mio grande amico ed esperto di Rock Luciano Bolzoni del concerto tenuto dagli Who a Birmingham, dicembre 2014, cui ho avuto il piacere di assistere insieme a lui. Come si dice…ubi maior…buona lettura!>
Va detto che in determinati anni sono stati il primo gruppo del mondo cioè la migliore band di r’n’r al mondo e questo, paradossalmente, coincise con la morte di Moonie nel 1978, fatto orribile che però tenne in piedi il gruppo, soprattutto per i meriti di The Ox e per la tenacia del “vero capo” della band, cioè Roger from Oz.
Nel 1979 – Cincinnati a parte – gli Who erano il miglior gruppo mondiale, almeno dal vivo. In quegli anni assistetti a due show degli Who e due degli Stones e, credetemi, non c’erano paragoni. So di essere troppo critico nei confronti degli Stones, ma il tour da “drogato” di Keith non mi è mai piaciuto più di tanto, troppo scarno il suono, troppo scarso Emotional e poi, fatto personale, aspettavo il mio primo show da sempre, e trovarmi con il mio gruppo del cuore che mi canna l’attacco di Under my thumb tre volte mi stupì e non poco (Lione ‘82).
Ora smetto di parlare male degli Stones e passo ai “miei” Uh.
Questa la set list, costruita sugli hits ma senza comprenderli tutti, vedi la mancanza del loro inno generazionale, ma con qualche chicca di non poco conto che solo i puristi, Paul su tutti, coglieranno:
I Can’t Explain / Substitute / The Seeker / Who Are You / The Kids Are Alright / I Can See for Miles / Pictures of Lily / So Sad About Us / Behind Blue Eyes / You Better You Bet / Join Together / I’m One / 5:15 / Bell Boy / Love, Reign O’er Me / Eminence Front / A quick One / Amazing journey / Sparks / Pinball wizard / See me feel me / Baba o’riley / Wont’t get fooled again / attacco di Boris the spider con Pete che imita The Ox / Magic bus (no encore).
Ora la cronaca.
Salto i preamboli turistici rimarcando però la carineria del centro di Birmingham, la gaiezza del loro shopping natalizio, il gran freddo ed il fatto che gli inglesi come popolo sono un gran popolo, a patto che non si guardino le loro stanze d’albergo, il loro cibo e soprattutto i loro “cessi” d’hotel. Per non parlare delle prese elettriche. Comunque dopo i soliti acquisti, soprattutto musicali miei, il giorno del concerto (il 7) ci avviamo in avanscoperta a verificare la lontananza dell’arena e soprattutto il fatto che qui suoni il mio secondo gruppo del cuore. Non ci credo mai. Faccio questa vitaccia da 30 anni ed ogni volta il mio cuore scoppia dalla paura di “non riuscire” a vedere e sentire i miei idoli. Sono malmesso ma speriamo che continui così. Sto guardando ora per la data di Manchester fra qualche giorno…
L’arena è vicino all’hotel e passando in mezzo ai mercatini e alla più incredibile biblioteca pubblica del mondo (e in questo cose sono il miglior popolo della terra!) arriviamo all’arena, uno strano parallelepipedo metà palazzetto e metà palazzo urbano in mezzo ai canali della città (bellissimi).
Verificato che il concerto si terrà aspettiamo con ansia, soprattutto io e dopo varie fasi pomeridiane inutili alle 18.30 ci rechiamo all’arena e molto tranquillamente entriamo.
Dopo un orrendo piatto bollente indiano (ci sono fast food ovunque) acquisto qualche minchiata e 2 gadgets per il bimbo di Davide Sapienza e Cristina Donà, il più grande piccolo fan degli Who italiano.
Entriamo nel catino che è ancora vuoto, ordinatissimo, e subito vediamo anzi vedo il simbolo degli Who rimandato in tutte le sue forme sullo schermone centrale e sui due più piccoli laterali. Gulp. Ci siamo. Scatto mille inutili fotografie.
Attendo con ansia scrutando il placo e le 1000 luci che solitamente contraddistinguono il lightshow degli Who.
Alle 19.30 suonano The Standard Lamps. Molto bravi e divertenti e anche loro, un misto tra CCR e i Charlatans. E poi non gli par vero di aprire per gli Who!
Alle 20.31 si spengono le luci ed entrano i musicisti, il direttore d’orchestra e tastierista, già con Roger nel suo tour del 2012, così come gli altri due tastieristi e coristi (troppi!), poi il fratello di Pete, Simon, il grande Pino Palladino, Zak e i 2 Who…
Il mio cuore mi lascia per un minuto e attendo l’attacco, non al cuore…
Si parte quindi con I can’t explain e Substitute la canzone più stoniana degli U, nata proprio come song “alter ego” di 19th nervous brakdown… Roger sostituto di Mick. Si racconta proprio così.
Luci bellissime. Il miglior suono che io abbia mai ascoltato. Merito dell’amplificazione ma credo anche della location. Nel parterre tutti seduti ma ordinati. Sulle gradinate tutti seduti.
Sarà così fino alla fine del concerto.
Segue The seeker del progetto Lifehouse, una delle migliori canzoni mai scritte da Pete (ma da lui odiata) in una versione potentissima, contraddistinta dal controtempo della grancassa del figlio di Ringo Starr.
Il motore del gruppo è proprio Zak Starkey: impressionante. E sembra non muovere un muscolo, nascosto dalla sua batteria a sua volta confinata dietro i paraventi trasparenti.
Pete fa lo scemo per tutto il concerto così come Roger il quale ha un pò “più” di voce rispetto al 2012, scherzano, giocano sul titolo delle canzoni e ne spiegano alcune. Ovviamente io non capisco una sega di quanto dicono ma ho l’interprete che però fatica non poco a cogliere le parole, confuse o meglio inserite nei lunghi monologhi di Pete.
Il gruppo è potente, preciso, una vera macchina da guerra e, ripeto, non lo dico da fan: tecnicamente gli Who sono sempre stati impeccabili. La tecnica non è tutto, non è niente senza il cuore ma, come dice il grande artista Corrado Levi, la tecnica ti fa mettere bene un piede dietro l’altro e, aggiungo io, per fare cose semplici o solo apparentemente tali devi essere un professionista e questi lo sono e alla grande. L’arte nasce (anche) dalla tecnica. E dal cuore. E dal respiro.
Non mi dilungo sulla scaletta. Solo alcune (mie) considerazioni. Ottima scelta delle canzoni, soprattutto le chicche Pictures of lily e So dad about us praticamente mai eseguita dal vivo.
Ottimi i tre blocchi dai tre capolavori: Who’s next, Tommy e Quadrophenia. Forse le 4 canzoni da Q. sono state un po’ troppo elaborate, così come Eminence front da It’s hard, che stasera sostituisce la più corale e meno elaborata Cry if you want che speravo di sentire. Unica pecca, aver tolto le 2 canzone da Who by numbers delle altre date.
Notevole Join together che come al solito inizia con lo scacciapensieri. Poi una grande Behind blue eyes e una come sempre sofferta (da Roger) Love reign o’er me.
Dopo circa 2 ore arriva il vero encore, con i 2 capolavori del miglior disco della storia del r’n’r, Baba O’Riley e Wont’t get fooled again. Magiche e potenti come sempre e più di sempre.
Roger E’ veramente gli Who e ancora “da vecchio” incarna nel suo urlo finale tutta la nostra scontentezza di “non” avercela fatta come giovane società. Seguono 2 finti bis, Boris appena accennata ed una grande Magic bus che inizia sul basso di Palladino, finalmente udibile. Certo non è facile rimpiazzare il più grande bassista di sempre, che viene proiettato nel suo assolo di 5.15 (un po’ macabro) così come Moonie in un coretto. Queste cose non mi sono mai piaciute ma tant’è.
Questo è tutto, questo è tanto.
Luciano